Ci hanno assegnato i posti in una delle file centrali del Jumbo jet, dove sono cinque i sedili allineati. Ci troviamo così, stretti tra un emigrato di ritorno a Sidney e due libanesi dalla faccia cretina. Che siano terroristi? Incominciamo anche noi a vedere fantasmi. Guardiamo nella carlinga. Ai lati dei due corridoi tutte le file con due poltrone sono occupati, ma in fondo in fondo, proprio vicino ai bagni e alla "cucina" nascosta da una tenda, vediamo due file completamente vuote.
L'aereo si appresta a partire. Le nostre cinture sono allacciate. Tutte le sigarette si spengono. La musica filo diffusa tace. Il carrello rulla sulla pista, si ferma quasi, prende la rincorsa e decolla. L'apparecchio vira sulla destra e salendo veloce lascia che un'ala penda in verticale permettendole quasi di toccare l'acqua del nostro mare in un estremo saluto.
I reattori fanno un rumore d'inferno, le orecchie si otturano, i timpani fischiano. Un bimbo a bordo piange.
Finalmente siamo in perfetto assetto di volo e la voce del comandante ci augura un "Buon Viaggio". Sarà un lunghissimo viaggio su un aereo che, per le vie del cielo, ci porterà verso un altro clima, un altro continente, un altro mondo, lontani, lontanissimi da casa. La nostra destinazione è Bangkok, capitale di una Thailandia molto amata.
Le cinture possono essere slacciate adesso, le sigarette riaccese.
"Pardon. Scusate. Ci sediamo in fondo così staremo tutti più comodi".
Raccogliendo i nostri effetti personali, mio marito ed io, spostando i nostri corpi per andarli a depositare in coda del velivolo, sulla penultima delle file.

L'equipaggio di bordo è già occupatissimo in una più che cordiale ospitalità. Vengono offerti dei liquori, bevande, salviette profumate, sigarette, giornali e cuffie per poter sentire la musica in stereo.Il pannello centrale della cabina, là dove verrà poi proiettato un film, si illumina. Appare una carta geografica dell'Italia. Il nostro stivale, per tre quarti circondato da un mare irreale è sorvolato dalla sagoma di un piccolo aereo in movimento, si direbbe una mosca. Sarà nostro compagno di viaggio. Ci indicherà sempre, su carte geografiche diverse, il punto esatto nel quale ci troveremo, fino a destinazione, Roma si trova alle nostre spalle da qualche minuto soltanto e sulla carta appare la Baia di Napoli con il Vesuvio. Incollo il viso all'oblò per controllare. Eccolo infatti, sotto di noi quel cono asciutto e grigio che già si sta allontanando.
La giornata si presentava grigia e fredda alla nostra partenza. Una giornata cupa tipicamente invernale. Roma sa anche essere incredibilmente malinconica a volte e può trasmetterti una triste sensazione di angoscia.

R O M A

Nostra nuora è venuta a salutarci alla partenza. Era così bella nei suoi vent'anni, con i pantaloni stretti stretti e la figurina alta e slanciata. Quanta tristezza vederla sola. Salutare lei sola.
A bordo l'aria è piacevolmente tiepida. Si sta bene anche con le maniche corte. Il pannello indica invece - 63 gradi centigradi fuori dalla carlinga, alla nostra altitudine attuale di ben 10.670 metri sul livello del mare. La velocità del velivolo è di 886 Km. orari. Ci stiamo dirigendo verso Belgrado, Yugoslavia. Sarà un lungo giro nello spazio questa volta. Una rotta più lunga e del tutto nuova, dato che sui cieli Medio Orientali lo spazio aereo è chiuso. Riesco a rilassarmi un poco e intanto passano un paio d'ore. Ora, sulla terra sotto di noi c'è Budapest, Ungheria.

B U D A P E S T

Si era in pieno inverno, anche allora. Ci trovavamo all'aeroporto di Vienna, prossimi alla partenza per Budapest, Walter, io ed il nostro bambino, ma l'aereo non voleva saperne di decollare, lasciare Vienna. Troppa nebbia sulla pista. Da un altoparlante, una voce metallica riunì tutti i passeggeri che dovevano prendere il volo. Coloro che intendevano comunque partire, furono raggruppati su un pulmann, onde poter raggiungere la destinazione via terra. Una ventina di noi si trovò così sommersa dai propri bagagli nel gelo di un autobus, poco meno che scassato, rumorosissimo per giunta. L'autista, un ometto dai lunghi baffi neri, promosso sul campo, si trovò così oltre che alla guida anche a capo di un gruppo eterogeneo di persone parlanti le lingue più diverse, nessuna delle quali era peraltro da lui condivisa.
Fu così che in una notte fredda,la variazione sul tema, l'incognita dell'avventura, la Pusta selvaggia che presto ci avrebbe avvolti, mise a tutti noi una grande allegria.
Gli scossoni erano tanti. Ad ogni buca una risata, ed il bimbo, unico tra adulti si rivelava sempre più ardente, più frizzante. La distanza tra Vienna e Budapest non era poi molta. Quattro ore di viaggio circa. Alcuni di noi, avevano comperato dei liquori all'aeroporto e ora incominciavano a passarsi le bottiglie tra un sedile e l'altro. Una pulitina al collo della bottiglia con il palmo della mano per poi mandar giù il liquido a scaldare la gola e le vene. Il semplice "Thanks" divenne passaparola e passa bottiglia e in tutti la risata si alzava più facile, la mimica si mostrava più sciolta.

Tra noi, un passeggero, uomo robusto di mezz'età, era ormai bello che partito. Si era seduto vicino allo sportello e si lamentava: "Pissa" prima in sordina, poi sempre più forte. Il bimbo rideva gioioso, commentando la scena con i suoi gridolini rendendo il poveraccio sempre più nervoso, finché questi decise di alzarsi, traballando al ritmo di una strada dissestata, per andare a tirare i baffi al nostro autista e urlargli all'orecchio: "Pissa" affinché capisse la sua urgente necessita e si fermasse. Imperterrito il pulmann continuava a macinare chilometri. Eravamo in guerra anche allora. Era chiamata "Guerra fredda". Ogni gesto, se captato poteva essere mal interpretato, figurarsi quindi un bus carico di stranieri fermo nella notte. La frontiera tra Austria e Ungheria era ormai prossima. Già si intravedevano, alla luce dei fari, uomini in divisa con le armi pronte ad intimarci l'alt, vicino ad un capannone. Il pulmann si fermò ed il nostro amico corse giù, una mano alzata e l'altra già sulla zip dei pantaloni.
L'allegra comitiva sconcertò i funzionari della dogana, quel tanto per far capire loro che era tutto a posto. Questo il nostro ingresso in Ungheria.
Passammo i giorni seguenti alla scoperta di Buda e di Pest divise tra loro dal bel Danubio blu. Restammo sorpresi nel vedere delle tubature di scarico uscire, senza regole e da qualsiasi altezza dai muri di vecchi caseggiati, erano sfoghi per delle stufe arrangiate, assolutamente necessarie per molte famiglie.
Ci siamo commossi ascoltando la musica triste dei violini tzigani suonati da vecchi senza tempo. Inteneriti nell'avvicinare dei bimbi dalle guance rosse come ciliegie in primavera. Lasciati coinvolgere dalla loquacità, incontrando delle donne basse e grassottelle con le teste coperte da fazzoletti multicolori. Erano tutte "nonne" che, nell'incrociarti, ti donavano una carezza e la dolcezza di un sorriso antico, piccolo mio, e come ti piacevano le cioccolate calde ricoperte di panna consumate in poveri posti di ristoro.

Mancano dieci ore e 37 minuti al nostro arrivo a Bangkok. Continuo a guardarmi intorno. Dall'altra parte del corridoio aereo, un uomo è disteso, immobile su un lettino pensile. I parenti si alternano a turno al suo capezzale offrendogli da bere o semplicemente per accarezzarlo. E' la prima volta che incontriamo un invalido a bordo in tanti viaggi. Ripenso a mio padre e al suo ultimo volo nella terra di origine, l'America. Era già completamente cieco, ma perché mai la mente non trova riposo? Perché devono sempre attraversarla dei pensieri tormentosi?
Fuori dalla carlinga la temperatura è di 63 gradi sotto lo zero: Ho sentito dire che su Marte scende anche a 100 sotto lo zero. Qui si sta bene. Walter ha bevuto un wiskey e tende all'allegria. Io solo acqua minerale e ho fame. Dalla "cucina" posta dietro di noi, già si sente odore di cibo riscaldato. Tutte le vivande precotte sono state preparate a terra.
Stiamo attraversando un nuovo confine che divide la Polonia dall' Unione Sovietica.
A Roma sono le quattro del pomeriggio. Qui in alto è solo l'imbrunire. I passeggeri chiacchierano, camminano avanti e indietro nei corridoi della carlinga, cercano di fraternizzare tra loro. Le comunicazioni umane sono più facili nello spazio.

I miei occhi non si staccano dal pannello centrale. La carta geografica continua nei suoi mutamenti e il piccolo aereo a muoversi su di essa. E' l'ombra esatta del nostro Jumbo. Se dovessimo cadere ora, sapremo esattamente dove stiamo cadendo! Fuori dall'oblò è gia buio.
Stanno servendo la cena: tacchino, crocchette di patate, fagiolini, frutta secca, insalata e dolcetto.
Il pannello s'interrompe adesso, per lasciare posto alla proiezione del film. Si spengono anche le luci. Tramite la cuffia mi sintonizzo sul doppiaggio in italiano. Mi accomodo sulla poltrona con le gambe incrociate sotto il sedere. A noi il cinema è sempre piaciuto molto.
Ricordi piccolino quando ci dimenticammo di portare il tuo cuscino a bordo? Era la tua "copertina di Linus", il tuo "Ninna nanna" e mai ne avresti fatto a meno. Io, distratta lo avevo infilato nella valigia e stava viaggiando con noi, ma nel cargo. Impossibile andarlo a prendere. Anche allora eravamo diretti a Bangkok e con te,in un lungo viaggio verso i tropici.. Eravamo su un Jumbo anche quella volta, e tu, com'eri bello nel tuo pigiamino di bimbo.
Si, persino l'aereo, era per te "casa". Le abitudini le stesse che a casa. Quante volte lo abbiamo ripetuto questo stesso viaggio? Quasi uno per ogni anno della tua vita.
Ti eri accoccolato lungo disteso sulla moquette del corridoio, tra due file di passeggeri. Mancava il cuscino sotto la testolina. Le hostess te ne portarono a decine. Si viaggiava in pochi allora e tu accentravi sempre l'attenzione. Erano cuscini della stessa misura del tuo, ma non erano il "tuo". Allora li facevi volare sulle poltrone vuote con un capriccio infantile, fino a calmarti e decidere di metterteli "tutti" sotto la testa. Anche in quell'occasione un film stava per iniziare. Si trattava di una delle prime avventure dell' "Agente segreto OO7 " e chissà per quale malefica sorte il caso ha voluto che anche questa sera la serie continui.
Il film è terminato lasciando libero il pannello per poter far muovere ancora la miniatura del nostro aereo sulla sua geografia.
"Alla prossima, caro James Bond, per una volta ancora hai vinto tu!"
Cerco Walter nella semioscurità. Lo vedo seduto poco distante da me nella sezione "fumatori" Accanto a lui si alternano altri viziosi della sigaretta, che accendono una dopo l'altra, scambiandosi quattro chiacchiere, per far trascorrere questa notte nel cielo.
Fuori dall'oblò si sta spargendo un mare di corpi celesti. Stiamo nuotando tra le stelle! Sotto l'aereo c'è un abisso di stelle, sopra di noi un infinito composto da stelle, tutto ciò che ci circonda è un formarsi di stelle. Ce ne lasciamo a centina dietro, e migliaia ci aspettano al nostro passare.Siamo sommersi tra gli astri. Che spettacolo straordinario! Voglio imprimermelo forte e profondo nella memoria in modo che mi sia nuovamente compagno nei futuri momenti di difficoltà.
Stiamo sorvolando Mosca.

M O S C A

Eri il più piccolino tra i giovani e adulti di un gruppo organizzato, in partenza per l'Unione Sovietica. Avevi dodici anni e un portamento già molto fiero Ti sentivi felice,come sempre quando ti trovavi in viaggio. Come sempre quando eri con noi. Una notte buia ci avvolgeva quando scendemmo la scaletta dell'Aeroflot, provenienti da Roma. A Mosca faceva un gran freddo, ma tu eri ben protetto ancora prima dell'aprirsi del portellone, imbacuccato nella tutina azzurra, la sciarpetta cadente sulla spalla, il berretto tirato sugli occhi.
Stavamo vivendo con te, l'intensa emozione di trovarci uniti per conoscere un nuovo paese, in special modo questo, giacché molti ne parlavano con sospetto. Era quindi intrattenibile la gioia d'averlo potuto raggiungere, malgrado i tanti consigli ricevuti affinché non tentassimo troppo la sorte, che il nostro arrivo a destinazione ci sorprese, per la prima volta un po' impacciati. Ti stavo stringendo forte la mano, avviandoci all' ingresso dell'aerostazione, il che non ti impedì di scivolare lungo disteso in terra, trascinandomi al suolo con te e questo ci fece, scoppiare insieme, in un'eclatante risata per poi alzare gli occhi e trovarci in quell'assurda posizione proprio ai piedi delle "Guardie Rosse". Erano uomini imponenti, immobili come statue , austeri con i loro colbacchi di pelliccia nera sulla testa su cui fiammeggiava una stella rossa, pronti a darci il benvenuto...Per fortuna non mostrarono, per me, la pur minima attenzione,ma guardando te, così tenero e piccino si lasciarono sfuggire un sorriso e riuscirono furtivamente a sfiorarti il viso accennando una carezza.
E l'indomani, quanta allegria nel nostro correre collettivo sulla Piazza Rossa, nel tuo zigzagare tra la neve che continuava a cadere copiosa. E i nostri inesauribili lanci di palle bianche e fredde da un'estremità a l'altra di uno spazio troppo ampio tra un San Basilio e una tomba di Lenin.
Poi nei giorni che seguirono, il tuo instancabile confusionare insieme ad altri bimbi dall'idioma sconosciuto, scambiando gomme americane per medagliette di latta, penne a sfera per pesanti cinture con fibbie ove erano scolpiti emblemi di falce e martelli. Nei ristoranti poi, quel tuo accomodarti ai tavoli vicini, mischiarti a giovani allegri che ti chiamavano. Ridevi ai loro scherzi diretti a te piccolo straniero, per poi accettare l'offerta di una mela rossa, pulita da una manica di camicia sconosciuta e subito amica.
Ci stiamo dirigendo verso Volgograd. La velocità di crociera è di 887 km. Orari. L'altezza di 12.500 metri. Sono riuscita a dormire un poco, allungata su due sedili. Adesso sono in piedi nel corridoio e cerco di sgranchirmi le gambe.
E' bellissimo guardare fuori dagli oblò da entrambi i lati dell'aereo in questo momento tutto speciale. Si scorge abbastanza chiaramente la sfericità della terra dall'altezza in cui ci troviamo. Ovest, si trova alla mia destra dove i finestrini si affacciano su una notte ancora fonda, mentre quelli di sinistra, aprendosi a Est mi mostrano un'alba dai colori infuocati. Scelgo la parte dove la terra sta per risvegliarsi per rimettermi seduta e ritornare al mio passatempo preferito: guardare fuori, nello spazio cercando di rituffarmi ancora nel sogno! Tra poco voleremo sul Nepal intanto la luce abbagliante del primo mattino sfiora, i picchi montani ancora oscuri, per allargarsi sempre più, con il diffondersi di una magica scia che dona loro il chiarore più prezioso di ogni eterno mattino.
Mi lascio immergere anch'io nel suo stesso incantesimo, per sentire il tepore del primo sole che nasce, e lasciando che mi riscaldi un poco l'anima concedendo una pur minima tregua al subbuglio dei miei sentimenti confusi.


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